Com’era Torino 150 anni fa? Fra nevicate, Carnevale come a Venezia e bagni nel Po. Ecco le abitudini dei Torinesi d’altri tempi

31/12/2024

Com’era Torino 150 anni fa? Fra nevicate, Carnevale come Venezia e bagni nel Po. Ecco le abitudini dei Torinesi

E’ l’anno 1869 quando Pietro Baricco, celebre intellettuale dell’Ottocento, pubblicò un’opera in due volumi intitolata Torino, un’accurata descrizione della città e della sua vita nel periodo postunitario.

Sfogliare le sue pagine significa immergersi nella Torino di 150 anni fa, scoprendo abitudini, tradizioni e peculiarità di una città che stava cercando di reinventarsi.

Un servizio del Corriere della Sera spiega i contenuti del libro: un viaggio nel tempo nella città della Mole

All’epoca, Torino si affacciava sul Po con la collina a est ornata da ville e vegetazione, e le Alpi visibili a distanza a sud, ovest e nord. La città era decisamente più piccola rispetto ad oggi, con circa 195.000 abitanti, e la neve era un fenomeno frequente, come testimoniano i nove giorni nevosi del 1867 e gli undici dell’anno successivo. Torino viveva un momento di transizione dopo aver perso il ruolo di capitale del Regno d’Italia a favore di Firenze. Nonostante il progresso industriale e l’apertura di nuove attività come birrifici, fabbriche di mobili e pianoforti, il 34% della popolazione era analfabeta.

La lingua piemontese era usata in prevalenza nel quotidiano, ma l’italiano e il francese erano altrettanto diffusi. I torinesi venivano descritti come persone miti, ingegnose, pazienti e riservate, con una predilezione per la stabilità e un’eleganza influenzata dalla moda francese. I giorni di festa vedevano i cittadini organizzare scampagnate nei dintorni o visitare osterie fuori porta.

Tra le passioni del tempo spiccavano gli spettacoli teatrali e lirici, il fumo del sigaro e i vivaci festeggiamenti del Carnevale, grande e importante come quello di Venezia.

Durante questa ricorrenza, Torino si trasformava: Piazza Castello e via Po erano decorate e illuminate, ospitando fiere, balli in maschera e sfilate allegoriche organizzate dalla Società di Gianduia. In Piazza Vittorio, un imponente palco accoglieva spettacoli elaborati che attiravano migliaia di spettatori.

Anche lo sport era praticato, in particolare il gioco delle bocce. Sul Po, una piscina galleggiante accoglieva fino a cento nuotatori, offrendo persino costumi di tela e asciugamani inclusi nel biglietto.

La cucina torinese vantava specialità come le salse al tartufo bianco e gli agnolotti. Gli alberghi cittadini offrivano un servizio curioso: i “servitori di piazza”, guide che accompagnavano i turisti nella visita alla città.

Anche i riti religiosi e funebri riflettevano le usanze dell’epoca. I battesimi erano segnati da carrozze con torce accese, mentre i funerali variavano a seconda del ceto sociale: i più ricchi avevano cortei elaborati, mentre i poveri si accontentavano di cerimonie semplici.

E per quanto riguarda i riti religiosi?

“Al calare della sera – si legge sul Corriere – “poteva capitare di vedere una carrozza che procede lentamente con una torcia accesa fuori dallo sportello. All’interno c’è un bambino che ha appena ricevuto il battesimo nella vicina chiesa parrocchiale. Differenti erano anche i riti funebri. La salma viene portata in processione dalla casa del defunto alla chiesa e poi da questa al camposanto. Il corteo prevede un carro funebre, addobbato con più o meno eleganza, seguito dai preti, dai parenti e dai colleghi di mestiere che recitano a voce alta il Miserere. Questa cerimonia varia, naturalmente, a seconda del ceto sociale. Molto meno sontuoso è rito riservato ai più poveri, in quel caso una semplice bara è seguita da un gruppetto di mesti individui che reggono una torcia ingiallita. Se la morte, come recitava Totò, è una livella i riti funebri non lo sono affatto”.

 

 

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