
Torino – Metalmeccanici torinesi, una crisi senza precedenti: 7 su 10 in cassa integrazione. “Le multinazionali stanno saccheggiando tutto”.
Il 2025 si conferma un anno drammatico per l’industria metalmeccanica della provincia di Torino. Secondo i dati diffusi dalla Fiom-Cgil, ben 62.449 lavoratori su 90.500 hanno sperimentato la cassa integrazione, vale a dire sette addetti su dieci.
Il settore più colpito è quello dell’automotive, che da solo raccoglie quasi 37 mila dipendenti, pari al 59% del totale.
La denuncia arriva dal segretario provinciale Edi Lazzi, che in occasione della presentazione della festa annuale della Fiom ha tracciato un quadro netto: «Il comparto metalmeccanico torinese è in evidente difficoltà, non basta continuare a illudersi che l’aerospazio possa rappresentare la via d’uscita. È un settore prezioso, ma troppo marginale per compensare il collasso dell’auto».
Dai numeri emerge infatti che l’aerospazio rappresenta appena il 10,7% della forza lavoro metalmeccanica, mentre oltre il 45% resta concentrato nell’automotive, l’11% nei mezzi pesanti e nel movimento terra, il 7% nella meccanica strumentale, con altri comparti frammentati come informatica, manutenzione e siderurgia, quest’ultima in forte ridimensionamento. «Raccontare che Torino possa risollevarsi puntando tutto sull’aerospazio – ha ribadito Lazzi – significa ripetere lo stesso errore che in passato si è fatto con il turismo».
Ma la crisi non riguarda solo i volumi produttivi.
La Fiom mette in luce anche un profondo mutamento nella proprietà industriale: circa il 30% delle aziende torinesi del settore è oggi controllato da multinazionali, che da sole danno lavoro a oltre il 40% degli addetti. Una trasformazione che, secondo Lazzi, ha spezzato il legame storico tra industria e territorio. «Le famiglie imprenditoriali locali – pur tra contrasti – mantenevano una responsabilità verso città e lavoratori. Le multinazionali invece adottano un modello che definirei “da predoni di passaggio”: investono finché conviene, poi chiudono e lasciano macerie».
Esempi concreti non mancano: dalla recente vicenda Lear, a cui subentrerà una newco italo-cinese, fino a marchi storici come Giugiaro, Pininfarina, Denso, Officine Vica, Graziano, Tubiflex o Te Connectivity, venduti da tempo e incapaci di garantire ricadute positive sul territorio.
Da qui l’appello del sindacato a una riflessione più ampia sul modello economico che si è consolidato negli ultimi decenni. «Occorre un ruolo più forte della politica – conclude Lazzi – perché oggi sembra subire la globalizzazione invece di governarla. Senza un intervento deciso, il rischio è che il tessuto produttivo torinese conosca un ulteriore impoverimento strutturale».