
Germania, l’allarme: “Peggior crisi industriale dal 1949. Il nostro modello è al capolinea”
La Germania sta attraversando una fase economica di gravità senza precedenti. A lanciare l’allarme è Peter Leibinger, presidente della BDI, l’associazione degli industriali tedeschi, che descrive un clima diffuso di sfiducia e tensione tra le imprese. Secondo Leibinger non si è di fronte a una normale fase ciclica negativa, ma a una crisi strutturale profonda che mette in discussione le fondamenta stesse del modello economico tedesco, con il rischio concreto di una perdita permanente di capacità industriale.
“Una crisi che no si vedeva dal 1949”.
Le difficoltà derivano da più fattori convergenti: costi energetici elevati, eccesso di burocrazia, pressione fiscale sulle imprese e una competizione globale sempre più aggressiva. I dati confermano il quadro critico: la crescita economica è ferma intorno allo zero, la disoccupazione sfiora i tre milioni di persone e il settore manifatturiero ha perso centinaia di migliaia di posti di lavoro rispetto al periodo pre-pandemia. Anche la fiducia delle aziende è crollata ai livelli più bassi degli ultimi anni.
Nonostante il maxi piano di investimenti pubblici varato dal governo, che prevede centinaia di miliardi per infrastrutture, digitale e difesa, l’economia reale fatica a ripartire. I fondi procedono lentamente a causa delle rigidità amministrative e non alleviano nell’immediato i costi operativi delle imprese, in particolare quelle ad alto consumo energetico, che continuano a pagare l’elettricità molto più che negli Stati Uniti o in Cina.
“I numeri – riporta Il Corriere della Sera – gli danno ragione. Berlino chiuderà l’anno con un Pil stimato tra 0 e +0,1% e quasi 3 milioni di disoccupati (il settore manifatturiero ha perso oltre 500 mila posti di lavoro dai picchi pre-Covid), mentre il tasso di disoccupazione è salito al 6,3%. Leibinger tocca un altro nervo scoperto, accusando la Cina di aver “copiato il modello tedesco”.
Il settore automobilistico rappresenta il simbolo della crisi: l’industria che per decenni ha incarnato il successo tedesco è ora sotto pressione per la concorrenza dei veicoli elettrici cinesi, più economici e avanzati, e per i ritardi tecnologici accumulati. Ristrutturazioni e chiusure di stabilimenti colpiscono anche grandi gruppi storici.
Sul piano geopolitico pesa inoltre il timore dell’espansionismo russo, che ha spinto Berlino a rafforzare la spesa militare. Ma il nodo centrale resta la competizione con la Cina, accusata di aver assimilato e replicato il modello industriale tedesco su scala molto più ampia e con costi inferiori. Dopo aver appreso tecnologie e processi produttivi, Pechino è diventata un concorrente diretto nei settori a maggior valore aggiunto.
In questo contesto, la Germania rischia di essere il nuovo “malato d’Europa”. Secondo Leibinger servono interventi rapidi e incisivi per salvaguardare il sistema industriale, evitando però derive isolazioniste e populiste che, come quelle dell’AfD, rappresenterebbero un ulteriore danno per un’economia fondata sull’export e sull’apertura ai mercati globali.