
Le discoteche stanno morendo, i ragazzi della Generazione ‘Z’ non ci vanno più e cercano nuovi stimoli – Ecco i motivi
Le discoteche non stanno chiudendo perché i giovani non hanno più soldi da spendere. Stanno perdendo pubblico perché, per una parte crescente della Generazione Z, hanno smesso di avere senso. Quello che per decenni è stato raccontato come il cuore della libertà giovanile – musica alta, notti infinite, eccessi condivisi – oggi viene percepito come un rituale stanco, ripetitivo, spesso vuoto.
Il cambiamento non è economico, ma profondamente culturale. I ragazzi nati tra la fine degli anni ’90 e i primi Duemila non rifiutano il piacere, ma mettono in discussione il modello con cui viene proposto. Non è la festa in sé a essere respinta, bensì l’automatismo: l’uscita obbligata nel weekend, l’alcol come scorciatoia emotiva, le relazioni superficiali che si consumano e si dimenticano nel giro di poche ore.
Per molti giovani, la nightlife tradizionale non rappresenta più trasgressione o appartenenza, ma una forma di anestesia: si beve per staccare, si balla per non pensare, si socializza senza davvero connettersi. Un copione già visto, che non promette crescita né autenticità.
Al suo posto stanno emergendo nuovi valori e nuovi simboli di “lusso”. La lucidità mentale, la salute fisica, il controllo del proprio tempo, la costruzione di routine personali diventano segni di status più desiderabili di una notte finita all’alba. Allenarsi, dormire bene, lavorare su un progetto, viaggiare con consapevolezza o partecipare a esperienze più intime e significative conta più dello sballo.
La festa, quindi, non è finita. Sta semplicemente cambiando forma. La Generazione Z non cerca di perdersi per sentirsi viva: cerca presenza, intenzione, senso. E finché i locali notturni continueranno a offrire solo rumore e ripetizione, senza un’esperienza che parli davvero a questi bisogni, resteranno sempre più vuoti. Non per crisi economica, ma per crisi di significato.