33 anni fa la strage di Capaci – Un giorno che segnò l’Italia e che nessuno dimenticherà mai

23/05/2025

33 anni fa la strage di Capaci – Un giorno che segnò l’Italia

Il 23 maggio 1992 è una data che ha segnato profondamente la coscienza collettiva italiana: quel giorno, lungo l’autostrada tra Palermo e l’aeroporto di Punta Raisi, si consumò la strage di Capaci, uno degli attentati più drammatici mai compiuti da Cosa nostra.

Alle 17:58, un’esplosione violentissima – attivata da Giovanni Brusca da una collina che sovrasta il tratto stradale – fece saltare in aria una parte dell’autostrada con una carica di circa 500 chili di tritolo nascosta in un cunicolo sotterraneo. L’attentato, pianificato nei minimi dettagli e tecnicamente realizzato dall’artificiere Pietro Rampulla, aveva un solo obiettivo: eliminare Giovanni Falcone, magistrato simbolo della lotta alla mafia.

Falcone, che stava viaggiando con la moglie Francesca Morvillo (anch’ella magistrato) e la sua scorta, morì sul colpo, insieme agli agenti Antonio Montinaro, Rocco Di Cillo e Vito Schifani. Morvillo si spense poco dopo, in ospedale. Si salvò miracolosamente solo l’autista, Giuseppe Costanza, che si trovava sul sedile posteriore.

Quel gesto, definito dagli stessi mafiosi “l’attentatuni”, segnò uno spartiacque nella storia italiana. Era il tentativo della mafia di spegnere la figura più pericolosa per la sua sopravvivenza: Falcone aveva infatti rivoluzionato la lotta alla criminalità organizzata. Grazie alla collaborazione di pentiti come Tommaso Buscetta, riuscì a svelare la complessa gerarchia di Cosa nostra e a ricostruirne il funzionamento interno. Fu tra gli ideatori del maxiprocesso di Palermo, istruito insieme al collega e amico Paolo Borsellino e al pool antimafia guidato da Antonino Caponnetto. Quel processo portò alla sbarra 474 mafiosi, segnando una svolta storica per la giustizia italiana.

La vendetta della mafia non si fermò lì: appena 57 giorni dopo, anche Paolo Borsellino fu assassinato, in un attentato altrettanto devastante, in via D’Amelio. La morte dei due magistrati segnò un lutto profondo ma anche un risveglio della coscienza civile. La reazione popolare fu immediata: migliaia di persone scesero in piazza, la società civile si strinse attorno al dolore e alla rabbia, e nacquero movimenti antimafia sempre più diffusi.

Oggi, a 33 anni di distanza, il ricordo di quel tragico 23 maggio resta vivo.

“Giovanni ha fatto tantissimo per la lotta alla mafia, ci ha lasciato tutte quelle norme che ancora oggi vengono utilizzate nel combatterla. Io vi ringrazio e vi bacio, perché so che tra di voi, oggi, non ci sono mafiosi, anche se questa città non è ancora libera. C’è ancora tanto da fare”. Sono le parole di Maria Falcone, sorella di Giovanni, che ha parlato oggi dal palco allestito davanti all’albero Falcone, in via Notarbartolo, a Palermo.

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