
I social stanno rovinando i nostri figli? Ecco come migliorare il rapporto fra genitori e ragazzi: parla l’esperto
I social stanno rovinando i nostri figli? La crescita dei nostri figli è sempre più segnata dalla presenza costante di smartphone e social network. A lanciare l’allarme è Jonathan Haidt, docente alla Stern School of Business della New York University, che nel suo libro La generazione ansiosa. Come i social hanno rovinato i nostri figli descrive come la Generazione Z – i nati tra il 1996 e il 2012 – stia pagando un prezzo altissimo in termini di salute mentale. Ansia, depressione, solitudine e difficoltà nelle relazioni dirette sono ormai problemi diffusi, al punto che lo studioso parla di una vera e propria “riconfigurazione dell’infanzia”.
Secondo Haidt, i ragazzi di oggi vivono come se fossero cresciuti “su un altro pianeta”: gran parte della loro vita sociale si svolge online e non nel mondo reale. Anche quando non hanno in mano il telefono, la loro attenzione resta catturata da dinamiche che accadono altrove, nello spazio virtuale.
Le sue riflessioni trovano eco in Italia nelle parole del pedagogista Daniele Novara, che conferma: «Gli adolescenti mostrano sempre più segni di fragilità emotiva e di isolamento sociale». Da qui la proposta di fissare regole chiare: niente smartphone prima delle superiori, social solo dopo i 16 anni e scuole libere dai cellulari.
Il vademecum di Haidt insiste anche sulla necessità di più gioco libero, spazi di autonomia e una forte alleanza tra famiglie e insegnanti.
Per non arrendersi a questa deriva, il docente propone un vademecum pratico: niente smartphone prima delle scuole superiori, accesso ai social solo dopo i 16 anni, scuole libere dai cellulari, più spazi di gioco reale e non virtuale, collaborazione tra famiglie e istituti scolastici e una pressione collettiva sulle istituzioni per varare leggi specifiche. In parallelo, invita a ripensare i modelli di business delle grandi piattaforme, che oggi si basano su algoritmi capaci di trattenere gli utenti – soprattutto i più giovani – trasformandoli di fatto in prodotti da monetizzare.
Il messaggio è chiaro: serve una presa di coscienza collettiva, non solo dei genitori ma anche delle scuole, delle istituzioni e della società nel suo complesso. Non si tratta di proteggere i giovani sotto una campana di vetro, ma di accompagnarli verso un uso più consapevole e sano della tecnologia, restituendo loro la possibilità di crescere con esperienze autentiche, relazioni concrete e un equilibrio mentale più solido.