02/04/2019
Cronaca
I verbali sconvolgenti del killer dei Murazzi “Sentivo delle voci in testa” – La famiglia di Stefano “Ucciso due volte”
Emergono nuovi particolari sull’inquietante confessione di Said Machaquat, il killer dei Murazzi.
“Volevo ammazzare un ragazzo come me, togliergli tutte le promesse che aveva, toglierlo ai suoi figli e ai suoi parenti”.
Parole agghiaccanti, messe a verbale dai carabinieri:
“Ho colpito un bianco, basandomi sul fatto ovvio che giovane e italiano avrebbe fatto scalpore. Mi bastava che fosse italiano, uno giovane, più o meno della mia età, che conoscono tutti quelli con cui va a scuola, si preoccupano tutti i genitori e così via. Non avrebbe fatto altrettanto scalpore. L’ho guardato ed ero sicuro che fosse italiano. Mi sono affiancato al ragazzo e gli ho piantato il coltello in gola” – dichiara il 27enne italo-marocchino aggiungendo ai carabinieri che se fosse rimasto in libertà avrebbe ucciso ancora perché sentiva delle voci nella sua mente che gli dicevano di farlo.
“Ho preso una scatola di coltelli all’In’s, ho usato il più grande e ho gettato gli altri. Perché ho ucciso in quel modo? Volevo ammazzare un ragazzo come me, togliergli tutte le promesse che aveva, dei figli, toglierlo ai suoi amici e parenti. Un taglio alla gola è il modo più sicuro di uccidere. Se lo colpisci di schiena è meno sicuro, anche se lo prendi al polmone non sei certo di ammazzarlo”.
7 anni fa un figlio con una ragazza torinese: “Ero felicissimo – spiega – “avevamo tutto”.
Poi la relazione si chiude male. “Il fatto che mio figlio chiamasse papà il nuovo compagno della mia ex convivente mi ha mandato fuori di testa”. Said cerca aiuto nei servizi sociali ma intanto sprofonda sempre di più nella depressione e nella paranoia.
“Ho pensato anche di uccidermi. Che madre natura stava cercando di farmi uccidere e allora ho pensato io di uccidere. Ho detto che potevo far pagare a Torino quello che è di Torino”.
Quindi la drammatica mattina del 23 febbraio.
“Sono sceso dal tram in piazza Vittorio – racconta Said -“Sono sceso ai Murazzi e dalla scala sono arrivato alla passeggiata. Mi sono seduto su una panchina. Ho fumato un paio di sigarette. Passavano persone. Ho scelto quel posto perché si può scappare via subito. E poi ci andavo spesso la domenica. Volevo uccidere e andarmene ma in quel momento c’era gente, volevo una persona la cui morte avesse una buona risonanza. Non un vecchio di cui nessuno parla. Quel ragazzo mi è passato davanti. Sapevo che non si accorgeva se mi alzavo. Così mi alzo e piglio con la mano sinistra il coltello dalla borsa. Lo colpisco mentre lo sorpasso”. Poi Stefano cade a terra, mentre Said va a prendere il 16 per tornare al dormitorio che lo ospita.
“Mi sono consegnato perché non ho più l’amore per vivere. Per passeggiare senza senso meglio che venga qua” – ha detto, ai carabinieri.
“Così è come se l’avessero ucciso due volte”, è il drammatico commento dei famigliari di Stefano, ammazzato dalle paranoie di un folle, senza motivo, in un freddo mattino di febbraio a Torino, città che lo aveva accolto e in cui era felice di vivere.
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