
Licia Mattioli, Confindustria “Riaprire il prima possibile. Serve misura shock”
“La salute e la sicurezza dei lavoratori vengono prima di tutto, ma le aziende italiane sono in difficoltà sia sul fronte interno sia su quello internazionale e non possono resistere a lungo – è il pensiero di Licia Mattioli, vicepresidente di Confindustria, torinese d’adozione, e presidente di Exclusive Brands Torino.
Licia Mattioli ha commentato la situazione di estrema emergenza che sta vivendo il Piemonte e l’intero paese.
“Vorrei essere chiara su questo punto– spiega la vicepresidente di Confindustria – “Sempre nel rispetto dei protocolli sulla sicurezza e avendo a cuore la salute delle persone, sarebbe importantissimo riaprire il prima possibile per garantire la sopravvivenza di tutti i posti di lavoro. C’è un problema di tenuta economica e sociale, di fronte al quale serve un piano shock, con misure più incisive, varate con determinazione e senza tentennamenti”.
Mattioli, candidata alla successione di Boccia alla presidenza della Confederazione dell’industria italiana, indica la strada per risollevarsi dall’emergenza coronavirus: a livello industriale, a suo parere, occorre una ripartenza scaglionata iniziando dai settori prioritari. “E poi a seguire tutti gli altri – dichiara Mattioli – applicando con rigore e controlli severi le misure sanitarie. Servono sanzioni pesanti per chi viola le norme igieniche e tamponi a tappeto per capire chi non è contagiato o è guarito e può tornare al lavoro”.
La vice presidente di Confindustria, in un recente intervento a quotidiano.net, si è soffermata sui modelli che l’Italia dovrebbe seguire:
“La Corea, ma anche altri Paesi – spiega Licia Mattioli – “Cominciamo a diversificare le garanzie di sicurezza in base all’età e alle patologie. Il problema sanitario è gravissimo, ma la cura non può essere ancora più grave. Abbiamo chiuso settori industriali che in altri Paesi sono rimasti aperti, come le acciaierie. In Germania e Francia sono aperte. In Italia ora manca l’acciaio anche per fare i letti degli ospedali. Le conseguenze sull’export sono pesanti – conclude – “dove non consegniamo noi, arrivano fornitori di altri Paesi”.