“Mio marito ucciso come un cane da un nigeriano. Voglio giustizia!” – Si apre il processo al killer del suk

28/08/2018

A quasi un anno dal cruento omicidio del “Barattolo”, si apre il processo al killer nigeriano.

Fissata per il 1 ottobre da Giudice del Tribunale di Torino, dott. Stefano Vitelli, alle ore 10, nel palazzo di giustizia di Corso Vittorio Emanuele, l’udienza preliminare in relazione alla richiesta da parte del Pubblico Ministero di rinvio a giudizio di Khalid De Greata, il profugo nigeriano di 27 anni che il 15 ottobre 2017, al mercato di libero scambio d ha sgozzato il cinquantunenne Maurizio Gugliotta, di Settimo Torinese, ferendo anche l’amico che si trovava con lui.

Un crimine assurdo e senza un perché alla base del quale non c’erano neppure una lite o un diverbio, come si era pensato inizialmente. L’omicida – così ha giustificato il suo misfatto – credeva che i due amici, che non conosceva minimamente e che stavano semplicemente passeggiando tra i banchi del suk, avessero parlato male di lui, circostanza tassativamente smentita dal “superstite” e in netto contrasto con l’indole mite e tollerante della vittima.
Sta di fatto che il killer, senza proferire parola, ha colpito Gugliotta con un coltello a serramanico con la punta acuminata e una lama di nove centimetri per quattro volte, causandogli una lunga ferita da taglio al volto, un’altra da taglio al collo e due da punta e taglio ravvicinate al petto, una delle quali, profonda e penetrante, gli ha reciso l’aorta risultando fatale. Non contento, ha fatto altrettanto con l’amico intervenuto in difesa della vittima, sferrandogli più fendenti all’altezza dell’addome che solo per miracolo non hanno sortito lo stesso effetto.

A fronte di quest’autentico raptus, è stato lo stesso Pubblico Ministero della Procura di Torino titolare del procedimento penale a carico del De Greata, il dott. Gianfranco Colace, a presentare la richiesta di procedere con incidente probatorio per l’espletamento di una perizia psichiatrica volta ad accertare se l’assassino fosse capace di intendere e volere al momento del crimine. Secondo il consulente tecnico incaricato, il professor Franco Freilone, psichiatra forense e docente di Psicologia all’Università di Torino, l’assassino aveva una “capacità di intendere e volere grandemente scemata”, per infermità individuata in un “disturbo psicotico”, ovvero “con caratteristiche di specie paranoidi”: l’assassino gli è apparso persona socialmente pericolosa, e di una pericolosità elevata, ma comunque in grado di stare in giudizio. Dunque, seminfermità mentale ma capacità di sostenere il processo.

Di qui la richiesta di rinvio a giudizio da parte del Pm a carico di De Greata – attualmente in carcere presso la Casa circondariale Lo Russo e Cotugno di Torino -, che dovrà rispondere di omicidio con l’aggravante dei futili motivi e tentato omicidio. E il Gip ha fissato l’udienza preliminare al primo ottobre.

Certo, bisognerà capire se e quanto la seminfermità mentale concorrerà a riduzioni di pena, ma alla famiglia di Maurizio Gugliotta, che aveva sempre parlato di “ergastolo” come giusta punizione, resta almeno la consolazione di vedere l’assassino alla sbarra e di sperare di rendere un po’ di giustizia al proprio caro, visto che il nigeriano non è impunibile: la moglie della vittima, Carmela Caruso, e i tre figli sono assistiti dagli Avv. Giulio Vinciguerra, e Daniela Sabena, del Foro di Torino, e da Studio 3A, società specializzata a livello nazionale nella valutazione delle responsabilità in ogni tipologia di sinistro, a tutela dei diritti dei cittadini, che si fa carico a titolo gratuito delle spese di assistenza legale.

Ma la vedova, che si è trovata da un giorno all’altro senza il marito e senza il principale sostegno economico della famiglia (uno dei suoi tre giovani figli va ancora a scuola), si aspetta che anche lo Stato si assuma le sue responsabilità sul piano risarcitorio. De Greata infatti è un profugo, è arrivato in Italia su un barcone, ha passato un mese in un centro di accoglienza in Sicilia e poi ha raggiunto Torino dove viveva di “espedienti”, non avendo un lavoro.

Nutro molti dubbi sulla pazzia o semi-pazzia di questa persona – aveva dichiarato di recente la moglie di Gugliotta – Ma se anche fosse così, come mai quand’è entrato in Italia non se ne sono accorti, non l’hanno controllato prima di lasciarlo libero di circolare per mesi nel nostro Paese? Possibile che si scopra che era pazzo dopo che ha ammazzato un uomo? Un onesto padre di famiglia? Mio marito?”. Domande che meritano una doverosa risposta, anche al di là della sempre calda questione immigrazione, dalle cui roventi polemiche i familiari di Gugliotta hanno sempre voluto mantenere fuori la propria tragedia, anche per evitare strumentalizzazioni politiche.

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