Pensione di 285 euro ai disabili totali: una vergogna incostituzionale – La battaglia di un giudice di Torino

18/06/2020

“La cifra è chiaramente non sufficiente per garantire le elementari esigenze di vita. E’ violato il principio di uguaglianza, è contro la Costituzione”.

E’ un giudice di Torino a portare avanti la battaglia in difesa dei diritti dei disabili totali. Sul caso, la prossima settimana, si pronuncerà la Consulta che prenderà in esame le questioni di legittimità sollevate dalla sezione lavoro della Corte d’appello di Torino.
La notizia è stata riportata dal quotidiano Repubblica, che spiega:
Martedì prossimo “i giudici costituzionali esamineranno due questioni di legittimità sollevate dalla sezione lavoro della Corte d’appello di Torino, inerenti l’articolo 12, primo comma, della legge del 1972 sugli invalidi civili e l’articolo 38, comma 4, della legge Finanziaria 2002: la prima delle due disposizioni censurate riconosce ai mutilati e invalidi civili di età superiore a 18 anni, dei quali sia stata accertata una totale inabilità lavorativa, la concessione della pensione di inabilità”.

L’importo stabilito all’origine per la pensione era di 234mila lire annue. Una cifra soggetto a perequazione automatica ed elevata nel corso degli anni attraverso provvedimenti legislativi.

Ma una cifra che resta inadeguata per garantire elementari esigenze di vita. da qui il ricorso del giudice torinese, che ha fatto  riferiemnto all’articolo 38, primo comma della Costituzione, con riguardo all’importo della pensione di inabilità: (“insufficiente a garantire il soddisfacimento delle elementari esigenze di vita”). Il giudice ha riferito che nella causa da lui trattata la pensione corrispondeva (lo scorso anno) a 285,66 euro, per tredici mensilità.

Una disposizione censurata con riferimento all’articolo 3 della Costituzione per “violazione del principio di uguaglianza, ponendo a confronto l’importo della pensione di inabilità, corrisposta agli inabili a lavoro di età compresa tra i 18 e i 65 anni, e l’importo dell’assegno sociale corrisposto ai cittadini di età superiore a 66 anni in possesso di determinati requisiti reddituali, meno favorevoli di quelli di riferimento per il riconoscimento della pensione di inabilità”.

Spiega Repubblica:

“Secondo il giudice rimettente, considerata la sostanziale assimilabilità dei due benefici, sarebbe “irragionevole” riconoscere al soggetto inabile al lavoro infrasessantacinquenne un trattamento sensibilmente inferiore a quello dell’assegno sociale nonostante la comune situazione di bisogno determinata dalla inabilità al lavoro”.

Altri “contrasti” sono evidenziati dalla corte torinese rispetto agli articoli 10, primo comma, e 117, primo comma, della Costituzione in riferimento alla Convenzione Onu sui diritti delle persone con disabilità e agli articoli 26 e 34 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea.

Quindi, conclude il quotidiano:

“La seconda disposizione censurata, invece, dispone la concessione, in presenza di determinate condizioni reddituali, di benefici incrementativi dei trattamenti riconosciuti, tra gli altri, agli invalidi civili totali di età superiore a sessanta anni”.
Una disposizione “irragionevole” e in pieno contrasto con gli articoli costituzionali 3 e 38, primo comma, con “particolare riguardo alla situazione di quegli invalidi civili che, anteriormente al compimento del sessantesimo anno di età, si trovano in condizioni di gravissima disabilità e privi della benché minima capacità di guadagno”.

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