
Torino – In Piemonte crollo delle nascite: a rischio ben 6 ospedali del territorio, dove non si nasce più

In Piemonte la natalità continua a precipitare, e ora sei ospedali rischiano seriamente la chiusura dei loro reparti maternità. I centri in cui si registrano meno di 500 parti l’anno potrebbero vedere abbassare per sempre le serrande, anche se, nonostante anni di discussioni, nessuna decisione definitiva è ancora stata presa. Le direttive del Ministero della Salute, in accordo con l’Organizzazione Mondiale della Sanità, fissano infatti l’obiettivo ideale a 1000 nascite l’anno e considerano 500 il limite minimo accettabile.
Secondo i dati più recenti, il reparto più in difficoltà è quello di Domodossola, con appena 77 bambini nati in un anno. Una situazione che impone riflessioni, ma che secondo l’assessore regionale alla Sanità Federico Riboldi “non può essere affrontata senza un dialogo con il territorio”. Riboldi sottolinea come questa emergenza non riguardi solo il Piemonte, ma tutto il Paese, e cita anche Borgosesia, con i suoi soli 106 parti annui, come altro esempio critico.
Altri ospedali in bilico sono il Castelli di Verbania (474 parti), il Maggiore di Chieri (430), il Sant’Andrea di Vercelli (392) e il presidio di Casale Monferrato — città natale dello stesso Riboldi — che ha registrato soltanto 279 nascite.
Ogni anno, l’Agenzia nazionale per i servizi sanitari regionali (Agenas) invia richiami sulla sicurezza dei punti nascita con bassi volumi di attività. L’attuale piano sociosanitario rappresenta un’occasione per riesaminare la possibilità, prevista dalla normativa nazionale, di chiudere i reparti meno frequentati.
“La priorità deve essere sempre la sicurezza di mamma e bambino”, ribadisce al quotidiano Repubblica Umberto Fiandra, direttore sanitario del Sant’Anna di Torino, il più grande centro di ostetricia e ginecologia della regione, che da solo ha gestito il 22,3% delle nascite piemontesi, con oltre 5.300 parti nel 2024.
Anche la Società italiana di ginecologia e ostetricia, tramite il presidente Vito Trojano, ha espresso preoccupazione per la sopravvivenza dei piccoli punti nascita. Tuttavia, le comunità locali difendono strenuamente i loro presidi, facendo pressione su Alberto Cirio e Riboldi per trovare soluzioni alternative, tenendo conto delle difficoltà legate alla distanza geografica dai grandi ospedali.
Una delle ipotesi al vaglio è il potenziamento delle équipe sanitarie itineranti tra gli ospedali minori, in modo da garantire competenze elevate pur mantenendo i presidi aperti. “Bisogna anche migliorare trasporti e collegamenti”, propone ancora Fiandra.
Il destino di questi piccoli reparti si deciderà nei prossimi mesi, tra la volontà di tutelare la sicurezza sanitaria e il bisogno delle comunità locali di non perdere un servizio essenziale.