08/01/2025
Territorio
Tre Torinesi (insegnanti) in carcere in Bulgaria – “Arrestati per aver salvato vite umane”. Cosa è successo
Tre Torinesi (insegnanti) in carcere in Bulgaria – “Arrestati per aver salvato vite umane”
Tre insegnanti torinesi, Simone Zito, Lucia Randone e Virginia Speranza, sono stati arrestati in Bulgaria pochi giorni fa, dopo aver soccorso tre migranti in grave difficoltà.
I tre fanno parte del Collettivo Rotte Balcaniche, un gruppo di attivisti impegnato nell’assistenza ai migranti lungo i percorsi che attraversano Bosnia, Serbia e Bulgaria. Durante le festività natalizie, i tre volontari si sono recati in Bulgaria per continuare il loro lavoro umanitario.
Il soccorso ai migranti
La vicenda ha avuto inizio quando i tre hanno ricevuto una richiesta di aiuto da parte di tre ragazzi marocchini, trovati in una foresta in condizioni critiche. Uno di loro era in stato di semi-incoscienza a causa dell’ipotermia, mentre gli altri due erano esausti. Nonostante le temperature glaciali e i rischi di essere fermati dalla polizia di confine, i tre insegnanti hanno organizzato una missione di soccorso, portando cibo, vestiti caldi e materiali di primo soccorso. Dopo aver individuato i ragazzi, hanno prestato le prime cure sul posto e chiamato un’ambulanza, consapevoli che l’intervento avrebbe inevitabilmente coinvolto la polizia bulgara.
L’arrivo della polizia
La situazione è precipitata quando la polizia di confine è arrivata sul luogo del soccorso. Gli agenti, con atteggiamenti intimidatori, hanno lasciato i migranti al freddo per ore senza fornire adeguata assistenza. I tre insegnanti hanno cercato di proteggere i ragazzi, fornendo cure e rassicurazioni, ma sono stati accusati di violare la legge e di aver facilitato l’immigrazione clandestina. Dopo tre ore di attesa sotto pioggia e neve, un ufficiale ha dichiarato che i tre sarebbero stati arrestati. La loro auto è stata perquisita e due di loro sono stati ammanettati.
Gli insegnanti sono stati portati nella stazione di polizia di Malko Tarnovo, dove hanno trascorso una notte in condizioni degradanti. Sono stati rinchiusi in una stanza sporca e fredda, senza finestre chiuse, e interrogati con toni intimidatori.
Così hanno raccontato al Corriere della Sera: «Cerchiamo di dormire per terra e su sedie puzzolenti. Quando chiediamo di andare in bagno ci portano in un sotterraneo. C’è un largo corridoio buio e spoglio con ai lati una decina di lastre di ferro chiuse con pesanti lucchetti. Capiamo solo dopo che, verosimilmente, sono i luoghi dove vengono reclusi i migranti. Le ‘porte’ ci colpiscono perché non hanno una maniglia, né uno spioncino, solo una lastra pesante di metallo leggermente convessa. Cerchiamo di allontanare il pensiero di quello che può accadere in quei luoghi quando non ci sono testimoni. Arrivati al fondo del corridoio il poliziotto fa un sorriso e ci indica una porta. Aperta, troviamo uno sgabuzzino mefitico con piscio e merda ovunque. Un secchio a lato del WC rotto che tracima di carta e fazzoletti sporchi pieni di feci. Quell’espressione sul volto del poliziotto stona proprio, è la seconda volta che sorridono facendo qualcosa di crudele. Tornando dal bagno siamo ‘felici’ di vedere i tre ragazzi marocchini spaventati, infreddoliti ma nella stessa stazione di polizia. Siamo ormai praticamente certi siano ‘salvi’. Che ristabiliti potranno fare della loro vita quello che vorranno e quello che stati-nazione e capitalismo gli permetteranno. Il sogno di uno di loro è arrivare a Torino a Porta Palazzo e lavorare con lo zio che fa il macellaio. Anche in uno stato di semi incoscienza, nella foresta, gli si illuminava il volto quando ci mimava le corna delle mucche e ne imitava il verso.
Poi la libertà: «Al mattino veniamo liberati, ci chiedono di firmare dei fogli in bulgaro ma ci rifiutiamo. Siamo abbastanza sicuri di aver salvato stanotte tre persone e di aver dovuto fare un po’ di galera per questo. Oggi, in Europa, va così. Siamo sereni».
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