
Abete: “Smart working: gli unici che non possono farlo sono i manager. Chi è leader deve stare sul campo”
Abete: “Smart working: gli unici che non possono farlo sono coloro che hanno posizioni direttive”.
“Lo smart working abbatte i costi aziendali, riduce l’inquinamento, aumenta produttività del lavoratore ed efficienza del servizio”. Sono parole che abbiamo ascoltato ripetutamente nel corso della pandemia. Successivamente, alcuni lavoratori hanno continuato a lavorare in modalità smart, molti altri sono tornati negli uffici.
In Italia il ministro della Pa, Renato Brunetta non è, in tutta evidenza, un sostenitore di questa possibilità di lavoro: “Il governo Draghi ha fatto una grande scelta: vaccini e presenza, vaccini e gente sul posto di lavoro. Non lo smart working, non chiudersi in casa e non vaccinarsi, ma vaccini, vaccini, vaccini, con tutti gli strumenti possibili”, ha dichiarato di recente Brunetta. “Piuttosto che chiusi a casa, con il telefonino sulla bottiglia del latte a fare finta di fare smart working – ha aggiunto – perché diciamocelo, a fare finta di lavorare da remoto, a parte le eccezioni che ci sono sempre”.
Sul tema è intervenuto in questi giorni anche il Presidente della LUISS Business School Luigi Abete nel corso del suo intervento al panel “L’economia digitale e le conseguenze sul mercato del lavoro” al Festival dell’Economia di Trento. Queste le parole di Abete, che aggiungono un elemento al dibattito:
“Gli unici che non possono fare lo smart working sono i manager, perché chi è leader deve stare sul campo. La leadership oggi è uno strumento se si realizza creando collettività e inclusione. Se uno sta a casa sua e fa il manager non è certo dirigente. Il dirigente deve fare due cose: essere esemplare tra quello che dice e quello che fa e spiegare perché quello che fa è coerente con quello che dice”.