29/06/2023

Economia

Economia -India, Vietnam, Messico e Brasile: ecco i mercati più dinamici del nuovo mondo. Lo studio ISPI

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Economia -India, Vietnam, Golfo, Messico e Brasile: ecco i mercati più dinamici del nuovo mondo. Lo studio ISPI

Le prospettive macroeconomiche per quest’anno sono relativamente positive, nonostante condizioni finanziarie globali sfavorevoli, minori spazi di politica fiscale e un rallentamento della produzione industriale.

Sebbene il PIL mondiale continui a crescere, il commercio internazionale di beni rimarrà stagnante quest’anno, mentre i servizi mostreranno una dinamica più vivace. L

L’export italiano di beni è atteso con una crescita robusta, ma ad un ritmo inferiore rispetto agli anni precedenti. Le vendite oltreconfine supereranno i 660 miliardi di euro nel 2023, con una crescita del 6,8%, seguita da una crescita del 4,6% nel 2024. Anche l’export italiano di servizi avrà un’andamento positivo, con una previsione di crescita del 7%.

Ma arrivano nuovi partner commerciali

“Le principali economie rappresentano, non sorprendentemente – spiega ISPI nel suo nuovo studio – ” anche le maggiori geografie di riferimento per le vendite italiane (Germania, Stati Uniti, Francia e così via fino alla Cina), ma molto sta cambiando negli altri mercati di destinazione: Paesi del Golfo, India, Thailandia e Vietnam, senza dimenticare Messico, Brasile e Croazia – la “new entry” dell’Eurozona – si stanno rivelando opportunità sempre più concrete e significative per il nostro export”.

Ecco le sfide attuali: digitale e sostenibilità
Secondo ISPI, Istituto per gli studi di Politica Internazionale,  “Rivoluzione tecnologica e transizione sostenibile sono le sfide di oggi per il mondo di domani. Investire in digitalizzazione, innovazione e transizione energetica è la chiave in mano alle imprese italiane per rafforzare sempre di più la competitività sui mercati internazionali e crescere in modo sostenibile.

Per la prima volta, il Rapporto Export di SACE analizza anche le esportazioni di beni ambientali, in cui rientrano i beni connessi alla protezione dell’ambiente – come ad esempio i convertitori catalitici per veicoli – e quelli adattati per essere più rispettosi dell’ambiente o “più puliti”, come biocarburanti, batterie senza mercurio e auto ibride ed elettriche.

È necessario, infatti, individuare e quantificare i flussi internazionali di questi beni per poter mappare i principali attori della transizione, avere una base per la negoziazione di accordi volti a ridurre le barriere al commercio di beni cruciali e riconoscere eventuali dipendenze in termini di approvvigionamento da specifici Paesi in un mondo impegnato nella lotta al cambiamento climatico.

Nel ventennio scorso, il valore del commercio internazionale di beni ambientali è cresciuto a un tasso medio annuo (CAGR) del 7,6% (superiore al +5,8% dell’export complessivo di beni), arrivando a superare i 1.750 miliardi di dollari. I principali attori sono l’Europa e l’Asia, quest’ultima a più rapida crescita. L’Italia si conferma nel tempo al secondo posto tra gli esportatori europei.

I forti investimenti per la transizione in corso, alla luce anche delle politiche europee di sostegno in materia, spingeranno anche l’export italiano di beni ambientali, attesto crescere quest’anno del 9,3% e il prossimo del 9,7%, accelerando poi a circa il 14% all’anno in media nel 2025-26.

Le imprese stanno inoltre attraversando una nuova “rivoluzione industriale”: se le precedenti erano guidate dall’impiego innovativo di fonti di energia fossile, quella tecnologica e digitale avviata già da tempo si incentra su una “nuova energia” fondata sulle informazioni e sulla loro elaborazione. In questo senso, tecnologie avanzate come l’intelligenza artificiale (IA) possono rappresentare uno strumento strategico per lo sviluppo delle imprese in un mondo sempre più interconnesso.

Oggi l’IA è presente già in molti settori, è più diffusa tra le imprese con una maggiore propensione al commercio ed è ormai constatato che porti al miglioramento dei modelli di business e di supporto alla proiezione all’export, accrescendo di fatto la produttività delle imprese che ne fanno uso grazie a una più efficace gestione delle catene del valore e a minori costi commerciali. Come evidenziato anche dalle recenti indagini realizzate presso le imprese dal Centro Studi Tagliacarne-Unioncamere, circa il 67% delle imprese che investe nelle tecnologie digitali esporta, contro il 44% di quelle che non investono. Per la piena efficacia dell’Industry 4.0 sono necessarie non solo la semplice adozione delle tecnologie, ma altresì l’innovazione del modello di business dell’azienda: le imprese che investono in 4.0 e innovano il proprio modello di business hanno, infatti, una probabilità di esportare superiore di circa tre volte rispetto a quelle che investono senza modificare il proprio modello (14,5% vs. 5,2%).

Grazie a un’evoluta industria manifatturiera e dell’automazione – merito anche di programmi di Industria 4.0. – l’Italia presenta già una forte specializzazione nella combinazione dell’IA con sistemi fisici quali per esempio sensori, impianti di automazione e robot, come anche sottolineato dai dati dell’Osservatorio Artificial Intelligence Politecnico di Milano. Il nostro Paese vede un buon grado di applicazione anche nei servizi (dalla sanità alla ricerca e alla finanza fino ai trasporti). Ulteriore slancio sarà dato anche alla sostenibilità ambientale grazie, per esempio, a una sempre più precisa e accurata previsione degli eventi climatici estremi i cui effetti si riflettono su vari settori, uno su tutti, l’agricoltura”.

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