L’addio ai motori a combustione nei prossimi 15 anni allarma l’Anfia: “E’ doveroso ripensarci”

12/12/2021

L’Anfia, Associazione Nazionale Filiera Industria Automobilistica (Anfia) ha chiesto in queste ultime ore al governo una rapida definizione della «road map italiana per la transizione produttiva e della mobilità sostenibile». La reazione, dopo l’annuncio dello stop ai motori tradizionali a benzina e Diesel entro il 2035.

L’Anfia è una delle organizzazioni di categoria al Tavolo Automotive varato all’interno del Mise chiamate ad affrontare la transizione energetica, in seguito all’accelerazione richiesta dalla Commissione Ue.

E’ il Sole 24 Ore a dare il quadro della situazione:  “L’allarme Anfia è scattato dopo l’annuncio di ieri che al Comitato interministeriale per la Transizione ecologica (Cite) sono state definite le tempistiche di sostituzione dei veicoli con motore a combustione interna, decidendo, in linea con la maggior parte dei paesi avanzati, che il phase out delle automobili nuove con motore a combustione interna dovrà avvenire entro il 2035, mentre per i furgoni e i veicoli da trasporto commerciale leggeri entro il 2040. Dal Cite, sempre ieri, la rassicurazione che «per quanto riguarda i costruttori di nicchia, misure specifiche potranno essere eventualmente valutate con la Commissione europea all’interno delle regole comunitarie».

Questo il comunicato diffuso dall’Anfia: «La transizione produttiva di un settore chiave per l’economia dell’Italia non può essere fatta di annunci sulla stampa – A nome di tutte le imprese della filiera, degli imprenditori italiani e dei lavoratori del settore automotive, auspichiamo un ripensamento, o comunque un chiarimento, su quanto espresso nella nota di ieri e, soprattutto, chiediamo al Governo italiano di fare quello che i governi degli altri Paesi hanno già fatto: dare delle certezze alla filiera e definire al più presto la road map italiana per la transizione produttiva e della mobilità sostenibile». Poi, si legge ancora nel documento: “Il comunicato Cite ha messo in serio allarme le aziende della filiera produttiva automotive italiana e probabilmente, anche tutti gli imprenditori e le decine di migliaia di lavoratori che rischiano il posto a causa di un’accelerazione troppo spinta verso l’elettrificazione, non essendo coerente con le posizioni espresse, ancora poche ore prima, da autorevoli esponenti del Governo. I danni, occupazionali ed economici, derivanti dalla possibile messa al bando dei motori a combustione interna al 2035 e evidenzia che l’Italia rischia di perdere, al 2040, circa 73.000 posti di lavoro, di cui 67.000 già nel periodo 2025-2030».

Infine, conclude Anfia: “se rispecchia realmente le posizioni del Governo italiano, il Cite non può non aver tenuto conto di questi impatti e non può aver preso e comunicato alla stampa una decisione così forte senza aver contemporaneamente predisposto un ’piano di politica industriale per la transizione del settore automotive’, operativo sin da oggi».

Il Sole 24 Ore riporta altri pareri autorevoli sull’argomento. Il presidente di Confindustria Carlo Bonomi: «No, non la condivido il “fase out” al 2035, perchè facciamo la politica degli annunci. Annunciamo il “fase out”, ma quali sono gli impatti? Non ce li hanno spiegati. Quanti migliaia di posti di lavoro perderemo? Non si sa. Con quali risorse accompagneremo questa transizione? Nessuno l’ha detto. Tutti noi vogliamo vivere in un mondo migliore, più pulito ma questo deve avvenire in una governance mondiale».

Il segretario generale Fim-Cisl Roberto Benaglia e quello nazionale Ferdinando Uliano: «Il tavolo dell’automotive presso il Mise deve cambiare passo. Come Fim Cisl riteniamo sia necessario costruire un’alleanza tra sindacato e imprese del settore, con il coinvolgimento anche delle diverse associazioni di rappresentanza degli industriali, per definire un patto condiviso che individui nel dettaglio le richieste di intervento finanziario da avanzare al Governo Draghi».

Infine, il Viceministro allo Sviluppo economico, Gilberto Pichetto: «L’annuncio del Cite è un passaggio necessario al fine di garantire una Unione europea a impatto climatico zero», ma bisogna «tenere presenti esigenze reali Paese. La richiesta di rendere strutturale le risorse su incentivi e ecobonus, per sostenere le vendite e aiutare il cammino verso l’elettrico, vada a buon fine».

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